Don Bosco è stata una delle figure più famose di Torino durante l’Ottocento, conosciuto anche oltre i confini nazionali per le sue opere a favore dei giovani.
Don Bosco, considerato uno dei santi sociali torinesi è stato il fondatore delle congregazioni dei salesiani e delle figlie di Maria Ausiliatrice, poi canonizzato il 1° aprile 1934 da papa Pio IX.
Storia di Don Bosco
Giovanni Melchiorre Bosco nacque in seconde nozze il 16 agosto 1815 in una modesta cascina presso una frazione di Castelnuovo d’Asti, poi dal 1930 Castelnuovo Don Bosco.

La madre Margherita Occhiena era originaria di Cecca, una frazione del piccolo paese di Capriglio, sulle colline astigiane.
Il padre Francesco, contadino nel 1811 rimase vedovo della prima moglie, Margherita Cagliero dalla quale ebbe due figli, Antonio e Teresa Maria, quest’ultima spirata due giorni dopo la nascita.
Poi dal secondo matrimonio Francesco Bosco ebbe due figli, Giuseppe nel 1813 e Giovanni Melchiorre nel 1816.
L’11 maggio 1817 il padre Francesco morì per una grave polmonite, lasciando sola Margherita con tre figli e l’anziana nonna paterna.
Nonostante il padre avesse una piccola vigna e qualche capo di bestiame, all’epoca la vita dei contadini era particolarmente dura, infatti la famiglia dovette traslocare in un rustico poi riadattato ad abitazione.
Il sogno di Don Bosco
Secondo le sue memorie, all’età di nove Giovanni Bosco anni ebbe un sogno che lui stesso definì profetico e che spesso, raccontò ai ragazzi del suo oratorio.
Senza entrare nel merito del sogno, che è possibile leggere qui, don Bosco ricordò le parole di sua nonna quando, una volta sveglio glielo raccontò, ovvero “non bisogna credere ai sogni”.
Anche se Don Bosco era d’accordo con la nonna, come scrisse nelle sue memorie non riuscì più a dimenticare quel sogno che infatti, ebbe una forte influenza sulle sue scelte future.

casa di Don Bosco – CC BY-SA 4.0
Secondo l’ipotesi dello storico don Pietro Stella, il sogno di Don Bosco fu influenzato da una predica circa il mandato di Gesù a San Pietro, con la celebre frase “Pasci le mie pecorelle”.
Infatti, sempre secondo gli studi di Stella, il giovane Bosco fece quel sogno profetico la notte successiva alla festa di San Pietro.
La vocazione religiosa
In seguito a quel sogno, anche se ancora bambino, Giovanni Bosco iniziò a seguire la strada del sacerdozio cercando di accedere alla scuola elementare della parrocchia di Capriglio.
Tuttavia il cappellano che gestiva le lezioni, tale don Lacqua rifiutò la domanda di ammissione, poiché il giovane Bosco apparteneva a un comune diverso.
Poi quando la perpetua del cappellano morì don Lacqua assunse Marianna Occhiena, zia materna di Giovanni Bosco, la quale convinse il curato ad accogliere il nipote nella sua scuola.
Qui, per avvicinare coetanei e contadini alla preghiera Giovanni Bosco imparò sia le acrobazie che i giochi di prestigio, invitandoli ad ascoltare il Vangelo e recitare il Rosario prima di ammirare lo spettacolo.
Tuttavia iniziarono anche i primi problemi familiari, infatti il fratellastro Antonio si lamentò di Giovanni perché, invece di lavorare frequentava la scuola e passava il tempo a fare giochi di prestigio.
Così nell’autunno 1827 la madre mandò il dodicenne Bosco a vivere come garzone presso la cascina Càmpora, per poche settimane e poi in quella dei coniugi Moglia dal febbraio 1828 al novembre 1829.
Nel settembre 1829, presso la frazione Morialdo di Castelnuovo d’Asti arrivò il cappellano chierese don Giovanni Calosso, all’epoca già settantenne.
Don Calosso, constatando l’intelligenza e la tenacia del giovane Bosco gli insegnò la grammatica preparandolo alla vita sacerdotale, tuttavia morì di ictus un anno dopo, ovvero il 21 novembre 1830.
Il 21 marzo 1831 il fratellastro Antonio si sposò con la compaesana Anna Rosso, così la madre fece rientrare il giovane Bosco facendogli riprendere gli studi, anche grazie a un piccolo salario che il ragazzo si guadagnava presso il sarto e musicista del paese, Giovanni Roberto.
Don Bosco proseguì gli studi elementari spostandosi a Chieri dove, anche grazie all’aiuto del maestro don Emanuele Virano riuscì a recuperare il tempo perduto.

A Chieri il giovane si stabilì a pensione presso tale Lucia Matta e per mantenersi fece diversi mestieri come sarto e fabbro della fucina, insegnamenti che in futuro gli permisero di fondare i laboratori per giovani poveri presso l’Oratorio Valdocco di Torino.
Sempre a Chieri il giovane Bosco fondò la Società dell’allegria, con cui insieme ad altri ragazzi avvicinava i coetanei alla preghiera attraverso i suoi numeri acrobatici e di prestigio.
Nell’autunno 1832 don Bosco iniziò la terza grammatica, poi nei due anni successivi frequentò le classi di umanità e retorica.
Nel 1835 entrò nel seminario vescovile di Chieri, istituito sei anni prima dall’arcivescovo Chiaveroti anche per allontanare i propri religiosi dai fermenti patriottici che all’epoca caratterizzavano Torino.
Infatti don Bosco risentì di questa formazione conservatrice, poichè contrastava con il suo temperamento incline a libertà di espressione e creatività, tuttavia poté contare sulla conoscenza di don Giuseppe Cafasso, anch’egli di Castelnuovo d’Asti e collaboratore del teologo vercellese Luigi Guala.
Giuseppe Cafasso fu una figura importante per Don Bosco poiché, oltre ad essergli amico lo indirizzò nell’aiutare i ragazzi poveri di Torino.
Don Cafasso, molto popolare a Torino soprattutto per l’aiuto che offriva ai carcerati e alle loro famiglie, fu anche definito il prete della forca poiché spesso, durante le esecuzioni capitali seguiva il condannato fino al patibolo per abbracciarlo, farlo sentire amato e indurlo alla riconciliazione con Dio.
Il 5 giugno 1841 don Bosco venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo Fransoni, trascorrendo poi l’estate aiutando il parroco di Castelnuovo d’Asti.
Nel novembre dello stesso anno tornò nel convitto di Torino per compiere il triennio di perfezionamento teorico e pratico, dedicandosi anche all’istruzione catechista di gruppi giovanili.

Nello stesso periodo accompagnò anche Don Cafasso nell’assistenza spirituale dei giovani detenuti nelle carceri torinesi.
Giovanni Cocchi
Don Bosco fu molto ispirato da don Giovanni Cocchi, un sacerdote di Druento (TO) che avviò diverse attività a favore dei ragazzi poveri di Torino.
Particolarmente importante fu la fondazione del Collegio Artigianelli, attiva ancora oggi e la colonia agricola di Rivoli (TO), all’epoca la prima in Italia.
Poi molte iniziative del Cocchi furono portate avanti sia da Don Bosco che da don Leonardo Murialdo, fondatore della Congregazione di San Giuseppe e considerato uno dei santi sociali torinesi.
Infatti Giovanni Cocchi viene anche definito come padre dei Santi Sociali, ovvero un gruppo di religiosi e laici piemontesi vissuti tra il XIX e XX secolo che si dedicarono ad attività benefiche e sociali, sia a Torino che in Piemonte.
Don Bosco iniziò a scendere tre le strade di Torino osservando il degrado nel quale versavano i giovani dell’epoca, incontrando anche i ragazzi che presso Porta Palazzo cercavano lavoro.
Don Bosco vide come molti giovani venivano scartati perché deperiti o malati e, come diversi bambini, anche sotto i dieci anni lavoravano già nelle fabbriche.
Inoltre in piazza San Carlo incontrava i bambini che lavoravano come spazzacamini, ascoltando sia i loro bisogni che i problemi di salute derivati dal duro lavoro.
Insieme a don Cafasso, Giovanni Bosco visitò anche le carceri torinesi, inorridendo davanti al degrado in cui all’epoca versavano i giovani, spesso affamati e in condizioni igieniche precarie.
Dopo la diffidenza iniziale don Bosco riuscì ad avvicinare i detenuti facendosi promettere che, una volta usciti di prigione lo avrebbero raggiunto presso la chiesa di San Francesco d’Assisi.
Infatti fu proprio nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi che l’8 dicembre 1841 don Bosco incontrò Bartolomeo Garelli, il primo ragazzo che si unì al suo gruppo.
Poi la sera stessa incontrò anche i tre fratelli Buzzetti, originari di Caronno Varesino (VA) e, quattro giorni dopo durante la messa domenicale conobbe sia i loro amici che quelli del Garelli, formando così il primo gruppo dell’oratorio.
Da subito Don Bosco iniziò a radunare ragazzi difficili, orfani ed ex detenuti, fondando le sue attività su amicizia, istruzione e avvicinamento alla chiesa e, in breve il gruppo divenne così numeroso da richiedere l’assistenza di tre giovani preti, i don Ponte, Carpano e Trivero.

Una piccola nota: nella primavera 1842 i fratelli Buzzetti tornando dal paese portarono con loro il più piccolo, Giuseppe che, affezionatosi a don Bosco in età adulta seguì il sacerdozio divenendo suo braccio destro nella gestione del futuro ordine salesiano.
Nell’ottobre 1844 don Bosco ottenne anche un impiego come cappellano, prima nell’opera del rifugio e poi nell’ospedaletto di S. Filomena, due istituti femminili vicini a Porta Palazzo fondati dalla marchesa di Barolo.
Don Bosco, dopo aver ospitato i suoi ragazzi in diverse soluzioni di emergenza, la domenica di Pasqua del 12 aprile 1846 prese in affitto per 300 lire l’anno una tettoia da tale Francesco Pinardi, nel rione Valdocco.
Il luogo, che divenne famoso come Tettoia Pinardi, era uno stanzone usato come deposito di biancheria per le lavandaie e comprendeva anche un piccolo pezzo di terra che fu poi adibito a campo da gioco per il futuro oratorio.
L’oratorio di Don Bosco si ispirava anche a quello dell’Angelo custode, aperto da don Cocchi nel 1840 nella zona all’epoca malfamata del Moschino, ai margini del borgo Vanchiglia.
Negli anni la Tettoia Pinardi divenne sede delle attività salesiane nel rione Valdocco, oltre che nucleo operativo delle attività di Don Bosco.
Nel 1847 venne aperto un altro oratorio nella zona di Porta Nuova, intitolato a San Luigi Gonzaga e diretto da Don Cocchi, poi uno femminile presso borgo San Donato dal cappellano di corte e teologo dell’Università, tale Saccarelli.
Gli oratori torinesi ebbero anche una funzione pioneristica per l’epoca poiché si rivolgevano indistintamente ai giovani, a differenza di quelli romani o lombardi che erano a carattere scolastico e parrocchiale.

Il 19 febbraio 1851 don Bosco acquistò sia l’immobile che i terreni dal Pinardi per 28.500 lire, anche grazie ai sostegni economici procurati in buona parte da don Cafasso.
Con l’aumento dell’affluenza e il sostegno di popolazione e autorità cittadine, don Bosco insegnò ai giovani mestieri all’epoca preziosi come legatore, sarto, calzolaio, tipografo, falegname, fabbro, ferraio.
Inoltre le sue opere gli permisero di ricevere diversi sostegni finanziari, anche grazie ai suggerimenti di alcuni banchieri cattolici vicini a Camillo Benso di Cavour.
Dopo il colera del 1854, i giovani delle scuole-convitto di Valdocco ormai superavano il centinaio, riuscendo anche a inaugurare una chiesa destinata sia ai ragazzi che al quartiere.
Nel 1859 nacque la Società salesiana di san Giovanni Bosco, assicurando così la stabilità di progetti e opere dedicate ai giovani.
Lo stesso anno la legge Casati dispose l’obbligo dell’organizzazione scolastica nei comuni e don Bosco iniziò con piccoli seminari vescovili a Giaveno (TO) e Mirabello Monferrato (AL).
Poi si offrì di gestire dei collegi-convitti municipali sotto la propria responsabilità, iniziando con Lanzo Torinese, Cherasco, Alassio, Varazze e Vallecrosia.
Il 9 giugno 1868 fu inaugurato il santuario di Maria Ausiliatrice, voluto da Don Bosco e progettato in stile neoclassico dall’ingegnere e architetto piemontese Antonio Spezia.

Con lo spostamento della capitale prima a Firenze e poi a Roma, don Bosco continuò a inoltrare richieste di sussidi per le sue opere a favore dei giovani più poveri, tenendosi sempre lontano dall’intransigenza politica dell’epoca.
Ad esempio, il 6 agosto 1876 ospitò nel collegio salesiano di Lanzo gli esponenti della sinistra Zanardelli, Nicotera e Depretis, venuti per l’inaugurazione del tratto ferroviario locale.
Nel 1872 don Bosco fondò le figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo sia di educare la gioventù femminile che affiancarsi i salesiani.
Sempre nel 1872, su interessamento dell’allora arcivescovo di Genova Salvatore Bagnasco, grazie a dei benefattori don Bosco acquistò la chiesa di San Gaetano con annesso convento nell’allora cittadina di Sampierdarena, oggi quartiere del capoluogo ligure.
Nel novembre dello stesso anno fu anche aperta una scuola professionale dedicata ai giovani più poveri, divenendo un punto di riferimento per la cittadina ligure che, grazie alla crescita industriale stava vivendo un forte sviluppo demografico.
In seguito, con il sostegno di realtà pubbliche e private furono aperti oratori, collegi, scuole agricole e ospizi sia in Italia che all’estero.
Inoltre sull’onda dell’emigrazione europea in America Latina, don Bosco inviò i salesiani in nazioni come Argentina, Brasile, Uruguay e Cile.
L’11 novembre 1875, presso la Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino si celebrò la prima spedizione missionaria salesiana in America Latina.
Poi tre giorni dopo, i missionari guidati da don Giovanni Cagliero si imbarcarono da Genova alla volta di Buenos Aires, insediandosi presso una parrocchia di emigrati italiani.
La seconda spedizione partì esattamente un anno dopo, guidata da don Francesco Bodrato, grazie alla quale fu aperta una scuola di arti e mestieri nella capitale argentina.

Nella terza spedizione del 1877, insieme ai salesiani arrivarono anche le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, guidate da suor Angela Vallese.
Impegno sociale e sindacale di don Bosco
Don Bosco seguendo i giovani anche nei luoghi di lavoro vide come venivano sfruttati, ovvero non c’erano contratti scritti, mansionari, nessun riposo settimanale e il lavoro effettivo superava di gran lunga le otto ore.
Inoltre le tutele di sicurezza e salute erano scarse, se non nulle.
Don Bosco, presentandosi ai datori di lavoro in veste di garante poi pretendeva regole precise, infatti i primi contratti lavorativi nella Torino preunitaria portano la sua firma.
L’8 gennaio 1852, nella casa oratorio di San Francesco di Sales il giovane apprendista falegname Giuseppe Odasso firmò il primo contratto in Italia di “apprendizzaggio”, su carta bollata da 40 centesimi e con don Bosco in qualità di garante.
Poi prese come esempio le prime società di mutuo soccorso, all’epoca associazioni libere tra lavoratori che accantonavano fondi utilizzabili dai soci se colpiti da infortuni o malattie, promuovendo la “mutua” salesiana per i suoi “protetti” che entrò in vigore il 1° giugno 1850.
Questo sollevò malumori in diversi ambienti come anticlericali, valdesi, massoni e industriali, sfociando anche in una serie di attentati da quali don Bosco uscì sempre indenne.

Inoltre, prendendo accordi con le autorità reali dell’epoca, don Bosco permise ai detenuti minorenni di uscire dalle carceri per alcune ore al giorno imparando così dei mestieri, il tutto senza la presenza di guardie armate, bensì solo sotto la sua sorveglianza e dei suoi collaboratori.
Il progetto ebbe un tale successo che, diverse figure arrivarono dall’estero per studiare il metodo di Don Bosco rivolto al recupero sociale dei giovani.
Don Bosco continuò a viaggiare per sostenere le sue iniziative, anche quando la sua salute era ormai malferma.
Si spense a causa della bronchite il 31 gennaio 1888, all’età di 72 anni.
La sua salma è esposta in un’urna nel santuario di Maria Ausiliatrice, in una cappella in fondo alla navata destra.
Tra le opere pittoriche che raffigurano don Bosco, la più conosciuta e diffusa anche come santino è quella del pittore bellunese Luigi Cima, conservata nella chiesa di San Rocco, a Belluno.
A Don Bosco, patrono degli scolari, giovani, educatori ed editori, tra i vari riconoscimenti la città di Torino gli ha dedicato l’omonimo ospedale e una via nel quartiere San Donato.