Giaveno, in provincia di Torino, con i suoi 16.000 abitanti è il centro più importante della Val Sangone e, oltre ad essere conosciuta come capitale del fungo è ricca di arte e cultura.
Infatti Giaveno ha una storia molto antica, in parte legata all’affascinante Sacra di San Michele e, fino al XVII secolo fu una delle mete più apprezzate dalla corte torinese dell’epoca.
Storia di Giaveno
Secondo diversi storici il primo insediamento risale all’epoca romana, come dimostrano alcuni resti funerari del I-II secolo d. C. emersi a fine anni ’70 presso il Santuario della Madonna del Bussone, in frazione Villa.
L’origine del nome è soggetta a diverse teorie, secondo alcuni sarebbe la continuazione del nome personale gallico Gavinus, altri l’associano all’antica famiglia dei Gavi che, presso l’attuale Giaveno vi edificò una casa colonica.

Invece secondo la leggenda l’origine del nome deriverebbe da “Iam veni”, ovvero alla fine giunsi o sono arrivato, parole pronunciate nel 218 a. C. da Annibale quando giunse nei territori dell’attuale Giaveno, tuttavia è priva di qualsiasi conferma storica.
Giaveno compare la prima volta nella Cronaca di Novalesa, antico testo risalente alla metà dell’anno Mille, quando viene citata la strada percorsa da Carlo Magno nel 773.
La Cronaca, scritta a Breme (PV) da un monaco anonimo narra le vicende dei religiosi dell’abbazia di Novalesa, in Val di Susa, tornati a rifondare l’antico monastero dopo l’abbandono a fine X secolo a causa delle incursioni saracene.
Giaveno ricomparve in documenti del 1001, nei quali l’imperatore Ottone III di Sassonia comprese il borgo tra i beni feudali del marchese Olderico Manfredi I, signore della Marca di Torino.
La marca fu fondata nel 941 da re Ugo di Provenza, il quale vi nominò marchese Arduino III, padre di Olderico Manfredi I, che contribuì a cacciare i saraceni dalla Val di Susa.
Con il dissolvimento della Marca di Torino, il 22 giugno 1103 Umberto II di Savoia, detto il Rinforzato donò i territori di Giaveno ai monaci dell’abbazia di San Michele della Chiusa.

Tuttavia il 26 gennaio 1195 l’imperatore Federico Barbarossa assegnò le terre al vescovo di Torino Carlo I, poi tornarono ai monaci con l’atto del 21 febbraio 1209 di Tommaso I di Savoia, detto l’Amico dei Comuni.
Inizialmente gli abati amministrarono la comunità di Giaveno attraverso un gastaldato, ovvero un funzionario con delega in ambito civile, militare e giudiziario.
Poi alla fine del XIII secolo emersero i primi castellani, scelti da eminenti famiglie locali, oltre a varie forme di infeudazione concesse a potenti dinastie del luogo, come gli Albezi.
Tuttavia il rapporto tra abati e comunità fu tutt’altro che semplice, poiché i religiosi impedirono la formazione di giurisdizioni antagoniste, così Giaveno fu progressivamente assorbita dall’influenza savoiarda.

Infatti vi furono diversi contenziosi tra abati e comunità, specialmente per il reciproco riconoscimento di alcuni diritti, come l’esercizio di caccia, pesca, uso e manutenzione dei mulini, obbligo di mantenimento di orfani e trovatelli.
Non a caso, durante le liti con gli abati diversi giavenesi trovano appoggio nel castellano di Avigliana, facente capo ai Savoia, visto dalla comunità di Giaveno come unico potere in grado di opporsi ai religiosi.
Di riflesso, la crescente influenza savoiarda spinse gli abati a condividere parte del potere con alcune famiglie del luogo, permettendogli di fregiarsi anche del titolo di nobili di Giaveno.
Dal maggio 1286, a Giaveno nacque ciò che viene definito il primo Parlamento sabaudo, in realtà un congresso di nobili e funzionari della contea savoiarda.
Infatti, per la prima volta si riunirono dodici delegati dell’alta nobilità piemontese, tredici castellani, gli abati delle abbazie di San Michele, San Giusto e Novalesa e una ventina di rappresentanti comunali.

Nel 1347, attorno all’antico castello di Giaveno, già citato in documenti del XIII secolo, l’abate Rodolfo di Mombello ampliò la cinta muraria dotandola di torri circolari, tre di esse ancora visibili in via Roma.
L’obiettivo, più che proteggere la popolazione in caso di pericolo, era quello di ingrandire il perimetro fortificato per garantire maggiori redditi all’abbazia ma, nonostante le abbondanti franchigie, buona parte degli spazi rimase inutilizzata.
Questo rallentò i lavori, che poi ripresero intorno alla seconda metà del Trecento grazie ad Amedeo di Savoia, detto il Conte Verde, stesso periodo in cui iniziò il declino dell’abbazia di San Michele.
Infatti quando il principe Giacomo di Savoia-Acaia (1325 – 1367) fu esautorato da poteri e possedimenti per insubordinazione verso la casa reale, il figlio Filippo II per vendetta saccheggiò il borgo di Sant’Ambrogio di Susa, supportato anche dall’abate Pietro di Fongeret.
Così nel 1381 il Conte Verde chiese e ottenne da papa Urbano VI la soppressione dell’autorità abbaziale di San Michele, ponendo fine alla secolare gestione benedettina.

Da qui in poi l’abbazia fu gestita da abati commendatari, spesso legati ai Savoia e, mentre Giaveno finì sotto il diretto dominio dei Savoia, l’ormai poco influenza abbaziale venne filtrata dalla corte torinese.
Grazie a maggiori libertà Giaveno visse un discreto sviluppo economico, poi l’11 gennaio 1454 l’abate commendatario Guglielmo di Varax rilasciò gli statuti comunali, ovvero 144 capitoli che riorganizzarono gli statuti precedenti, probabilmente risalenti al XIII secolo.
Tra il XV e XVI secolo il borgo divenne un importante centro artigianale, attirando anche artigiani di altre comunità attraverso la concessione di agevolazioni e contratti borghesi.
Tra i vari settori emerse quello tessile, soprattutto legato alla Canapa che, importata da Carmagnola e lavorata a Giaveno, veniva poi venduta in tutto il Piemonte.
Fondamentale fu il commercio con Torino, da cui veniva importato ferro e rottame e poi trasformato in pezzi per carri, bacchette per ringhiere e inferriate, attrezzi e utensili per agricoltura, meccanica e cucina.

uno dei murales di Giaveno
Inoltre grande ricchezza fu ricavata anche dalla montagna, grazie al commercio del legname e allo sfruttamento dei pascoli, oltre che oggetto di contenziosi territoriali fin dal XIII secolo.
Infatti le montagne, essendo prive di confini definiti furono rivendicate da più comunità e, le antiche liti territoriali nei secoli divennero dispute politiche, giungendo fino ai giorni nostri sotto forma di sano campanilismo, come dimostra la storica rivalità tra Giaveno ed Avigliana.
Ad esempio, se nel Cinquecento Giaveno faceva capo alla prefettura di Moncalieri per il contenzioso civile, per la giurisdizione militare era invece soggetta al governatorato della rivale Avigliana, all’epoca centro direttivo del potere sabaudo della zona.
A questo vanno aggiunte le diverse liti fiscali sia con il funzionario di Avigliana che con la Camera dei Conti, a causa del costante tentativo dei sabaudi di inserirsi nella giurisdizione dell’abate.
Così le liti montane, nate per ragioni di sopravvivenza, con il miglioramento delle condizioni di vita divennero dispute politiche, giungendo ai giorni nostri sotto forma di sano e spesso, divertente campanilismo.
Non a caso intorno a metà Ottocento, Camillo Benso di Cavour notò come nel collegio elettorale di Avigliana un candidato otteneva una maggioranza schiacciante, ma nessun voto a Giaveno, dove invece ne trionfava un altro.

Avigliana
Torniamo al XVI secolo, quando il 7 luglio 1557 l’abate commendatario Guido Luca Ferrero concesse a Giaveno alcuni privilegi feudali, come caccia, pesca e bannalità dei forni, poi confermati anche da Emanuele Filiberto di Savoia nel 1561.
Peste di Giaveno
Nel territorio di Giaveno le ondate di peste si susseguirono soprattutto dal Cinquecento, quando il Piemonte divenne terreno di battaglia tra Francia e Spagna.
Il primo riferimento ad un contagio nell’archivio di Coazze è del 1501, mentre il primo indiretto alla peste di Giaveno risale al 1562, poiché nei registri dell’anno compaiono 48 fiorini per la quarantena di due persone.
Il lazzaretto veniva allestito solo per epidemie diffuse, poiché le baite isolate si adattavano all’isolamento dei casi sporadici, invece emerge la spesa per impedire che gli untori aviglianesi contaminassero Giaveno.

Avigliana, colpita ben più gravemente da Giaveno, all’epoca suscitava timore anziché pietà, sia per campanilismo che per il bisogno di trovare un colpevole alla diffusione del morbo, in realtà dovuto al passaggio delle soldatesche.
Infatti i francesi, dopo aver occupato il Piemonte nel 1536, con la sconfitta di San Quintino del 1557 dovettero restituire i territori a Emanuele Filiberto di Savoia, ma ci vollero anni prima che le truppe lasciassero la regione.
Così, mentre i soldati diffondevano il contagio, la popolazione indebolita da guerra e fame era terreno fertile per la malattia.
Il peggio arrivò nel 1627, quando Carlo Emanuele I di Savoia entrò nella Guerra di Successione del Monferrato, e il Piemonte fu nuovamente invaso dalla Francia.
Il duca Enrico II di Montmorency, luogotenente generale dell’armata francese in Italia, dopo aver occupato Avigliana, il pomeriggio del 13 maggio 1630 saliva a Giaveno.

Il presidio, alle dipendenze del governatore di Avigliana era formato solo dalla milizia paesana, ovvero uomini locali che si opponevano all’invasione nemica, infatti nel giro di qualche ora, a forza di cannonate i francesi entrarono a Giaveno.
Il vero flagello arrivò nel 1630, a causa della peste portata dai mercenari lanzichenecchi in Lombardia, poi diffusasi anche in Piemonte, infatti si stima che solo a Torino vi furono circa 10.000 morti su una popolazione di 36.000.
Mentre reali e nobili fuggirono a Cherasco, il sindaco torinese Francesco Bellezia operò senza sosta per gestire le emergenze, guidando anche dalla sua camera da letto il consiglio comunale, allestito temporaneamente in cortile.
Come decretato dal Consiglio di Sanità di Torino, a Giaveno furono messe guardie alle porte del paese, impedendo l’introduzione di persone o vettovaglie infette.
Inoltre, per far cessare la peste Giaveno, Coazze e Cumiana fecero voto perpetuo di pellegrinaggio al Santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana.

Santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana
Giaveno, che nel 1627 contava circa .400 abitanti, a causa delle peste del 1630 ebbe 1.119 morti, 308 in paese e il resto nelle borgate limitrofe.
Giaveno meta preferita dei Savoia
Nel 1611 Maurizio di Savoia, figlio del Re Carlo Emanuele I fu nominato abate commendatario dell’abbazia di San Michele e, oltre a fare di Giaveno la sua meta preferita, trasformò l’antico castello in una lussuosa residenza ducale.
Nota: a Maurizio di Savoia si deve anche l’elegante Villa della Regina, sulla collina torinese, realizzata su iniziale progetto dell’architetto umbro Ascanio Vitozzi, autore anche del Palazzo Reale di Torino.
All’epoca il castello era usato dalla corte sabauda solo per salire all’abbazia di San Michele, infatti un inventario del 1598 presentava pochi mobili, qualche materasso e scarse stoviglie.

Capita che a Giaveno, la mattina presto si facciano piacevolissimi incontri
La ristrutturazione iniziò nell’ottobre del 1620 su progetto dell’ingegnere militare Carlo Morello che, tra maggio e agosto del 1622, periodo di massima attività del cantiere, soggiornò presso la Taverna dei Tre Re di Gaspare Valetto.
Lo stesso anno Maurizio di Savoia convinse papa Gregorio XV a sopprimere il complesso di San Michele, ormai abitato solo da pochi monaci, così le ultime rendite monastiche furono dedicate all’edificazione della chiesa di San Lorenzo.
Il 2 giugno 1622, nel parco della residenza ducale fu posata la fontana del mascherone, opera dello scultore Giacomo Fontana, ormai unico ricordo dell’antica reggia, della quale non restano disegni o piante, solo documenti d’archivio che ne descrivono gli ambienti.

Nel Seicento la residenza ducale ospitò diversi personaggi di corte, poi nel 1691 fu saccheggiata e parzialmente incendiata dai francesi guidati dal generale Nicolas Catinat.
In seguito la residenza, parzialmente riparata fu usata solo come appoggio per salire all’abbazia di San Michele, poiché nel Settecento la corte torinese preferì a Giaveno le dimore di Venaria Reale e Rivoli.
A inizio Settecento vi soggiornarono Vittorio Amedeo II e il cugino Principe Eugenio di Savoia, prima del celebre assedio di Torino del 1706, poi gli ultimi reali a dimorarvi furono Carlo Emanuele IV e la consorte Maria Clotilde di Francia, nel luglio 1787.
L’antica reggia, totalmente ristrutturata nell’Ottocento divenne sede della Casa di Ricovero dei Poveri Vecchi delle Suore del Cottolengo, mentre oggi è un grande condominio residenziale.
Durante l’Ottocento Giaveno, oltre che principale centro della Val Sangone fu un importante nucleo industriale, specialmente nei settori tessile, cartario e conciario, poi a fine secolo venne inaugurata la storica tranvia Torino-Giaveno.

L’idea di realizzare una ferrovia economica per Giaveno risale al 1877, così il 3 luglio 1881 fu inaugurata la prima tratta a vapore Torino-Orbassano, alla presenza sia del sindaco torinese Luigi Ferraris che dello scrittore ligure Edmondo De Amicis, autore del libro Cuore.
La prosecuzione per Giaveno fu collaudata il 4 febbraio 1883, poi prolungata fino a Pinerolo nell’agosto del 1899 e infine elettrificata tra il 1928 e 1937.
La tranvia è tristemente famosa per la strage del 9 gennaio 1945, quando ad Orbassano il convoglio fu mitragliato da aerei angloamericani, provocando 31 morti e 34 feriti, alcuni dei quali perirono in seguito alle ferite.
Nel corso del Novecento Giaveno, oltre a vivere un discreto sviluppo industriale e commerciale, vide molti dei suoi giovani partire per le due guerre mondiali, e alcuni di essi non tornarono più.
Eccidio del novembre 1944
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Giaveno e Val Sangone vissero in pieno la Resistenza, poiché il territorio fu teatro di scontri, rastrellamenti ed eccidi.
Il 27 novembre 1944 i tedeschi accerchiarono la Val Sangone per imbottigliare le formazioni partigiane che, frazionate in piccoli distaccamenti riuscirono a sfuggire all’accerchiamento.
Il giorno seguente i tedeschi imposero il coprifuoco, poi incendiarono diverse borgate, poiché sospettate di dare aiuto ai partigiani, facendo morti e feriti tra i civili.
Poi il 30 novembre, in piazza San Lorenzo i tedeschi fucilarono 14 partigiani e, come in altre occasioni, la popolazione fu costretta ad assistere alla macabra esecuzione.
Nel dopoguerra Giaveno visse in pieno la ripresa economica e oggi, oltre ad essere il centro più importante della Val Sangone è anche uno dei più apprezzati della provincia torinese.
Infatti Giaveno vive un forte incremento del turismo, poiché nei decenni ha saputo creare un discreto equilibrio tra le bellezze naturali del territorio ed il suo patrimonio storico, artistico e culturale.
Cosa visitare a Giaveno
Giaveno è ricca di storia, arte e cultura, oltre che terra di diverse leggende come quelle legate alla Torre delle Streghe ed al Santuario della Madonna del Bussone.
Il monumento più importante è la chiesa di San Lorenzo, patrono di Giaveno, fu eretta nel 1622 grazie a Maurizio di Savoia e restaurata a inizio Settecento, dopo i danni causati dall’invasione francese del 1693.
La chiesa presenta pregevoli affreschi e opere d’arte, come i dipinti del pittore di Susa Luigi Guglielmino e dei torinesi Enrico Reffo e Tommaso Lorenzone.

La chiesa di San Rocco fu realizzata intorno al 1646, anch’essa grazie a Maurizio di Savoia, in seguito al voto per l’epidemia di peste del 1630; all’interno è possibile ammirare alcuni dipinti del pittore torinese Alessandro Trono.
Poi la Chiesa del Gesù, nota come dei Batù (flagellanti), eretta nel 1576 fu poi ampliata nel 1668 e, oltre agli affreschi della navata ospita diverse opere d’arte, tra cui quelle dei torinesi Claudio Francesco Beaumont e Alessandro Trono.
Il Santuario di Nostra di Lourdes al Selvaggio, nell’omonima frazione di Giaveno fu eretto tra il 1915 e il 1926 su un’antica cappella mariana del 1608, secondo progetto dell’architetto bresciano Giulio Valotti.
Il santuario ospita l’imponente cupola alta 32 metri, mentre l’unica cappella laterale, dedicata alla francese Bernarde-Marie Soubirous, detta Bernadettee, presenta la volta interamente affrescata.

Nella zona absidale troviamo due statue dell’antica cappella che rappresentano i santi Rocco e Antonio abate, un bassorilievo dell’arcivescovo torinese Agostino Richelmy e diversi quadri ex voto.
La chiesa di Santa Maria Maddalena, nell’omonima frazione di Giaveno fu realizzata su un precedente edificio tra il 1780 e il 1782, per volere di Giacinto Sigismondo Gerdil, abate francese della Sacra di San Michele.
La chiesa, consacrata il 31 maggio 1784 fu ampliata negli anni ’30 dall’architetto Lino Ravegnan e, oltre al ricco apparato decorativo ospita diverse opere d’arte.
Poi il Santuario della Madonna del Bussone, eretto nella prima metà Seicento fu ampliato tra il 1721-26, all’interno possiamo ammirare diverse opere come le tele che raffigurano l’Annunciazione e la Crocifissione.
Il Santuario mariano è legato alla leggenda del quadro della Madonna che, come spesso accade, presenta più versioni; qui riportiamo la più famosa.

Nel primo Seicento un contadino, tornando dai campi trovò in un cespuglio (in dialetto locale “bussun”) un quadro della Madonna, così lo portò a casa appendendolo sopra al letto, per rivolgergli le preghiere prima del riposo.
Il mattino seguente il quadro era sparito e il contadino, recandosi al lavoro lo trovò nel medesimo cespuglio, se lo riportò a casa, ma il ritratto mariano tornava puntualmente nel medesimo luogo.
Dato che l’evento si ripeté diversi giorni, il contadino portò il quadro dal prevosto, narrandogli l’accaduto, così il religioso lo chiuse a chiave in sacrestia.
Ma il giorno seguente il quadro fu ritrovato nel cespuglio, indicando la necessità di erigervi una chiesa dedicata alla Madonna, infatti tra i rovi del bussun furono poi poste le fondamenta del Santuario.
La Torre degli Orologi, uno dei simboli di Giaveno fu eretta tra il 1736 e il 1748, mentre la parte terminale, abbattuta da un fulmine nel 1887 fu sostituita con quella attuale.

Le iscrizioni latine sui lati della torre, nei secoli furono interpretate come testimonianza del passaggio di Annibale nel 218 a. C. teoria assai improbabile secondo diversi storici.
L’altro simbolo di Giaveno è il caratteristico Mascherone, realizzato dallo scultore Giacomo Fontana per volere di Maurizio di Savoia, posato nel giugno 1622 nel parco dell’antica residenza ducale, poi spostato nell’attuale Piazza Giovanni XXIII.

Di fronte troviamo l’elegante Palazzo Marchini (sede del Comune), proprietà della nobile famiglia Molines dal 1533 al 1901, quando l’ultimo discendente Francesco lo lasciò in eredità al suo segretario Francesco Marchini.
Poi passò alla sorella Maria Teresa, che il 10 giugno 1926 lo donò al Comune di Giaveno, mentre durante i rastrellamenti del maggio 1944, divenne tristemente noto come luogo di interrogatori dei nazifascisti.
Infine l’Arco Sabaudo, eretto dai giavenesi nell’attuale via Cardinal Maurizio per commemorare l’arrivo, il 23 luglio 1787 di re Carlo Emanuele IV di Savoia e Maria Clotilde di Francia, in visita alla sacra di San Michele.

La Torre delle Streghe di Giaveno
L’Arco o Torre delle Streghe è ciò che rimane di un’antica residenza fortificata di fine XIII secolo, uno dei luoghi più affascinanti della Val Sangone, poiché legata alla leggenda di Clerionessa.
L’edificio fu eretto dal possidente locale Martino Borello, con l’obiettivo di controllare il transito delle merci, appoggiato anche dal potente signore di Cumiana, Ugoneto Bertrandi.
La domestica del Borello era tale Giovanna, detta Clerionessa, vista con sospetto dalla comunità poiché, secondo la leggenda testava pozioni e intrugli di erbe su ignari malcapitati.
La vittima della strega Clerionessa varia a seconda delle versioni, un anziano desideroso di ritrovare la giovinezza perduta, un giovane innamorato, un viandante solitario, fino allo stesso Martino Borello.

Una delle versioni più ricorrenti narra di un giovane giavanese che, per conquistare la ragazza più bella de paese chiese a Clerionessa un filtro d’amore, poi l’offrì alla sua amata mescolato con del vino.
Ma appena la ragazza bevve la pozione cadde a terra morta e il giovane, sconvolto, confessò quanto accaduto, così la strega fu condotta nelle prigioni del castello per essere processata.
Durante la prigionia Clerionessa si nutrì solo di erbe, poi il quindicesimo giorno scomparve nel nulla, lasciando nella cella solo qualche traccia di cenere e nessun segno di infrazione.
Da allora, dal porticato dell’antica torre, ogni quindici giorni si odono rumori, lamenti e ululati, mentre nelle notti di luna piena qualcuno giura di aver visto penzolare i corpi delle streghe impiccate degli inquisitori.

In realtà Clerionessa, semmai sia esistita, più che avvezza alle arti magiche fu una delle tante donne che, nel contesto contadino dell’epoca, cercava di arrabattarsi tra cura e magia.
Musei
L’Ecomuseo della Resistenza della Val Sangone, con sede a Coazze narra le vicende della valle dal 1943 al 1945, attraverso le storie di uomini, donne, battaglie e rastrellamenti.
Il Museo del Fungo espone tavole con disegni dei vari tipi di funghi e dell’ambiente in cui crescono, punto di riferimento per gli appassionati di tutto il Piemonte.

Il Museo Alessandri, inaugurato nel 2019 è dedicato all’artista torinese Lorenzo Alessandri, trasferitosi a Giaveno nel 1975; la ricca collezione, frutto di una donazione comprende circa ottanta opere.
Infine il Museo Geologico Sperimentale, nella sede CAI di Giaveno illustra la storia e il patrimonio geologico locale, oltre a conservare la preziosa collezione geologica di Carlo Alloni, medico e botanico torinese del Settecento.
Il museo dispone anche di attrezzature scientifiche per lo studio di microminerali e microfossili e una ricca biblioteca, con testi sia storici che recenti.
