Via Po, con i suoi portici ed eleganti palazzi è una delle strade storiche di Torino, collega le piazze Castello e Vittorio Veneto, da cui è possibile ammirare sia la chiesa della Gran Madre che il Monte dei Cappuccini.
La sistemazione dell’antica Contrada Po, parte del secondo ampliamento urbano serviva anche a risanare l’area, poiché lungo il fiume vi erano borgate di barcaioli e lavandaie considerate insalubri.
Via Po, ieri come oggi è una delle strade più apprezzate dai torinesi, poiché insieme a via Roma è considerata una delle passeggiate della buona società.

Lo scrittore ligure Edmondo de Amicis, nel suo libro Cuore celebra via Po come “il più bello spettacolo vivo e nello stesso il più originale che offra Torino. I portici sono i boulevards di Torino”, mentre Primo Levi la ricordava quando vi passava con il padre per andare dalla nonna materna.
Già nelle guide settecentesche del Grand Tour, il viaggio dei ricchi europei nel continente, di cui l’Italia era tappa chiave, via Po era definita come una delle strade più belle della città.
Torino ha saputo mantenere la sua originalità, infatti passeggiare in via Po è come fare un viaggio nel tempo, riuscendo quasi a sentire il suono dei tram a cavallo ed i profumi delle sere ottocentesche, con portici e facciate illuminate color oro dagli antichi lampioni.
Storia di via Po
L’ampliamento urbano della città iniziò nel 1561 con l’edificazione della Cittadella, dopo che Emanuele Filiberto trasferì la capitale del Ducato di Savoia da Chambery a Torino.
Il 23 ottobre 1673 Carlo Emanuele posò la prima pietra, facendo di via Po l’asse attorno al quale fu realizzato il secondo ampliamento di Torino, su progetto dell’architetto torinese Amedeo di Castellamonte.

Il nuovo tracciato seguiva l’antica strada suburbana che conduceva al ponte del Po, lungo la quale costruzioni discontinue formavano un vero e proprio borgo, terminando in quella che fino al settecento fu la piazza d’Armi, oggi Vittorio Veneto.
I lavori terminarono nel 1718 di fronte alla Porta di Po, eretta nella seconda metà del Seicento dall’architetto modenese Guarino Guarini, colui che progettò la celebre Cappella della Sacra Sindone.
Durante la ripavimentazione di piazza Vittorio Veneto emerse parte delle fondazioni di Porta Po, detta anche Porta Eridana, demolita dai francesi a inizio Ottocento, durante l’occupazione napoleonica.
Nei pressi di Porta Po sorgeva l’antico ponte di inizio Quattrocento, sostituito nel 1807, mentre il precedente del XIV secolo, eretto di fronte alla fortificata della Bastia, attuale Monte dei Cappuccini fu distrutto da una piena nel 1374.

Intorno al 1720 Vittorio Amedeo II fece realizzare i portici di via Po, mentre a inizio Ottocento Vittorio Emanuele I fece aggiungere sul lato sinistro le coperture sugli attraversamenti pedonali, per raggiungere comodamente il fiume anche in caso di pioggia.
Verso il 1831 furono completati gli edifici lungo piazza Vittorio, 4 anni dopo il lato sud dei Murazzi, terminati solo nel 1872 con la parte nord, mentre nel 1846 fu inaugurata l’illuminazione a gas, poi sostituita nel 1880 con quella elettrica.
Le prime vetture pubbliche su via Po risalgono all’Ottocento, nel 1845 furono introdotte due linee omnibus, vetture trainate da cavalli, mentre nel 1872 fu inaugurata la linea tram a cavalli, la prima in Italia, poi nel 1897 venne elettrificata l’intera linea di trasporto.

La notte del 28 agosto 1862 casa Tarino, al numero 18 di via Po fu distrutta da un violento incendio e, l’improvviso crollo del tetto causò la morte di diversi soccorritori e vigili del fuoco.
Arriviamo al Novecento, quando il 1° ottobre 1977 una manifestazione degenerò nell’attentato incendiario del locale Angelo Azzurro, in via Po, in cui morì lo studente di chimica Roberto Crescenzio.
La manifestazione, organizzata dall’estrema sinistra fu la risposta all’uccisione il giorno precedente a Roma di Walter Rossi, militante di Lotta Continua.
Il corteo, partito intorno alle 10:30 da piazza Solferino si diresse verso la sede del Movimento Sociale Italiano di corso Francia, dove vi furono scontri con le forze dell’ordine.
Alle 11:30 circa, quando la manifestazione passò per via Po, diretta verso Palazzo Nuovo, furono lanciate alcune molotov nel locale Angelo Azzurro, poiché ritenuto ritrovo per militanti di estrema destra.
In realtà il locale era gestito da una coppia di sinistra, tuttavia la voce si sparse poiché un ragazzo di estrema destra vi festeggiò il compleanno.
Roberto Crescenzio, uno dei due clienti occasionali si rifugiò nella toilette rimanendovi intrappolato e, tentando la fuga restò gravemente ustionato, morendo due giorni dopo.
A Roberto Crescenzio fu intitolata una strada nei pressi di via Guido Reni, poi il 3 febbraio 2017, vicino all’allora locale Angelo Azzurro è stata posta una targa sia dal Comune che dall’Associazione Italiana vittime del terrorismo.
Edifici storici e chiese di via Po
La chiesa barocca della Santissima Annunziata, ricca di opere d’arte si trova all’angolo con via Sant’Ottavio, fu eretta nel 1649 dall’architetto Carlo Morello, poi ampliata a fine secolo.

La facciata fu completata nel 1776 dallo scultore messinese Francesco Martinez, discendente del celebre architetto Filippo Juvarra.
La chiesa, insufficiente alla comunità fu abbattuta a fine Ottocento, la ricostruzione venne affidata all’architetto cuneese Giuseppe Gallo e completata nel 1934.
La chiesa di San Francesco da Paola, anch’essa barocca è attribuita al religioso e architetto genovese Andrea Costaguta con il contributo di Cristina Maria di Borbone-Francia, come dimostra lo stemma sulla facciata.
Realizzata tra il 1623 e 1667 conserva opere d’arte di pittori come il torinese Tommaso Andrea Lorenzone, il milanese Stefano Maria Legnani, detto Legnanino ed il viennese Daniel Seiter.

In via Po 17 si erge il Palazzo dell’Università, voluto da Vittorio Emanuele II quando a inizio Settecento varò una grande riforma dell’università torinese.
Il progetto dell’architetto di Chieri Michelangelo Garove fu eseguito dal ligure Giovanni Antonio Ricca, poi completato nel 1720, mentre il messinese Filippo Juvarra si occupò della facciata su via Giuseppe Verdi.
L’Università torinese, istituita nel 1404 Ludovico di Savoia-Acaia fu frequentata da personaggi illustri come il celebre umanista Erasmo da Rotterdam, che vi si laureò in teologia nell’autunno del 1506.
Il Palazzo dell’Università fu anche sede dell’attuale Biblioteca Nazionale, prima del suo trasferimento in piazza Carlo Allerto, di fronte all’elegante Palazzo Carignano.
Al numero 18 di via Po troviamo il Palazzo dell’Accademia di medicina di Torino, fondata nel 1819 da medici che si riunivano presso il collegio di San Francesco, in Contrada Po, dove il chimico di Casale Monferrato (AL) Ascanio Sobrero studiò la sintesi della nitroglicerina.

Nell’ultimo isolato c’era il convento degli Ospedalieri di Sant’Antonio, giunti a Torino nel 1721, nel 1750 la chiesa fu arricchita di cupola e facciata su progetto dell’architetto torinese Bernardo Antonio Vittone.
Nel 1776 il complesso passò all’ordine di San Maurizio e Lazzaro, poi nel 1830 venne demolita la chiesa, mentre nel 1896 fu abbattuto anche il convento.
Vicino all’attuale vicolo Ozanam sorgeva il Teatro Rossini, inizialmente una sala aperta nel 1771 poi distrutta da un incendio nel 1818; ricostruita su progetto dell’architetto torinese Giuseppe Maria Talucchi cessò l’attività con l’incendio del 1941.
Palazzo degli Stemmi
La costruzione del nuovo Ospedale di Carità in via Po 33, attivo fino al 1887 per poveri e mendicanti si concretizzò nel 1682, quando il sovrano donò alla città l’isola di San Maurizio, oggi delimitata dalle vie Po, Montebello, Rossini e corso San Maurizio.

Sulla facciata dell’edificio, su via Po furono posti gli stemmi dei benefattori che contribuirono alla realizzazione dell’edificio.
Nel 1703 fu eretta la chiesa annessa al ricovero e le decorazioni della volta vennero affidate al pittore viennese Daniel Seiter, autore di parte degli affreschi dell’Armeria Reale di Torino.
Storia dell’Ospizio di Carità
Negli ultimi anni del regno di Emanuele Filiberto di Savoia (1528 – 1580), la Compagnia di San Paolo insieme ad altri benefattori finanziò la costruzione dell’Albergo della Carità, dedicato a poveri e inabili al lavoro.
A chi poteva lavorare veniva insegnato un mestiere e poi accolto presso ciò che in seguito divenne l’Albergo di Virtù, in piazza Carlina.

Il primo Ospedale della Carità sorse nel 1628 e unito al Lazzaretto al di là della Dora dove, il 2 aprile poveri e mendicanti riuniti davanti al Duomo vi furono accompagnati da Duca, Corte e diversi cittadini.
Poco dopo fu trasferito nell’ospedale dei padri del Santo Sudario, tuttavia divenne ben presto inospitale, così poveri e mendicanti tornarono per strada.
Nel 1650, grazie sia alla Compagnia di San Paolo che alla Madama Reale Maria Cristina l’ospizio fu trasferito in via Po, poi nuovamente spostato nell’area tra le vie Principe Amedeo, San Francesco da Paola, Maria Vittoria e Bogino.
Temendo sovraffollamento, nel 1679 la seconda Madama Reale, ovvero Maria Giovanna Battista trasferì l’ospizio in collina, dirimpetto al Castello del Valentino, tuttavia essendo scomodo e difficilmente accessibile fu riportato in città.

Fu nel 1716 che Vittorio Amedeo II, con l’aiuto di religiosi, benefattori e cittadini eresse il nuovo Ospizio di Carità, che nel tempo occupò l’intero isolato tra le vie Po, Rossini, Verdi e Montebello.
Così il 7 aprile 1717, oltre 800 poveri e mendicati, riuniti in piazza Castello e serviti a tavola alla presenza di Re e Corte, furono poi accompagnati ad occupare il nuovo ospizio.
Il ricordo dei benefattori fu affidato a iscrizioni e busti, poi portati nella nuova sede sorta tra il 1882 e 1887 in corso Stupinigi, oggi Unione Sovietica, mentre gli stemmi de benefattori maggiori vennero posti sulla facciata del palazzo verso via Po.
Giovanni Battista Beccaria
All’inizio di via Po, nella sua torre quadrata il fisico e matematico cuneese Giovanni Battista Beccaria faceva osservazioni meteorologiche ed astronomiche.
Secondo tradizioni popolari il Beccaria poteva trovare i numeri vincenti del Lotto, infatti ogni tanto qualcuno andava a importunarlo chiedendogli qualche buon numero da giocare.
Si narra di un ciabattino che, giunto da Giovanni Beccaria per consegnarli delle scarpe gli chiese dei numeri vincenti del Lotto.
Il fisico, immerso nei suoi calcoli spiegava al ciabattino di non poterlo aiutare e, mentre con una mano teneva una tavola di logaritmi, con l’altra indicò un numero che probabilmente gli occorreva.
Il ciabattino, pensando fosse un suggerimento, appena uscito ne cavò un terno vincente e per il Beccaria fu un vero disastro poiché, diffusasi la voce della vincita e, nonostante le smentite, le richieste di numeri vincenti si moltiplicarono.

Il Comune di Torino ha intitolato al Beccaria fu intitolato un piccolo tratto di corso, tra il giardinetto dell’obelisco in piazza Statuto e corso Principe Eugenio.
Locali storici di via Po
Via Po, famosa per ospitare locali e negozi di prestigio, fu definita la Regina delle Vie.
Uno dei negozi storici di via Po è la gioielleria Musy, considerata la più antica d’Italia, fondata nel 1707 dall’omonima famiglia originaria di Massongy, comune francese nel dipartimento dell’Alta Savoia.

foto di Fred Romero – CC BY 2.0
Giacomo Musy, dopo aver seguito un corso di oreficeria e orologeria a Ginevra nel 1707 aprì una bottega con il figlio Luigi nel Padiglione Reale, l’edificio che univa i palazzi Reale e Madama.
Il 30 aprile 1765 i Musy ottennero da Luigi Vittorio di Savoia la patente di orologiaio, potendosi fregiare di fornitori dei principi di Carignano, mentre nel 1787 ricevettero il titolo di Orefici e orologiai di Casa Savoia da Carlo Emanuele III.
Dopo l’incendio che distrusse la loro bottega, nel 1818 i Musy aprirono la gioielleria in via Po e nel 1845 assemblarono un orologio per il Teatro Carignano.
Nel 1868 Margherita di Savoia commissionò ai Musy due bracciali, in occasione delle sue nozze con Umberto I di Savoia, poi per la regina realizzarono numerosi gioielli, parte del tesoro della Corona d’Italia.
Nel 1925 i Musy ottennero la patente di fornitori della Real Casa da Vittorio Emanuele, poi nel 2011 l’ultimo discendente della famiglia cedette l’attività, oggi uno dei locali storici di Torino.
Nel 1848 Vittorio e Pietro Bourlot, di Fenestrelle allestirono una bancarella di libri antichi sotti i portici di piazza San Carlo.

In seguito aprirono una libreria in via Po, nel tempo arricchitasi con libri antichi, importanti biblioteche e collezioni, infatti fu frequentata da personaggi come
- Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica Italiana
- Umberto II di Savoia
- i duchi di Genova e d’Aosta
- lo scrittore e filosofo abruzzese Benedetto Croce
- lo scrittore e poeta agrigentino Luigi Pirandello
- il direttore d’orchestra parmense Arturo Toscanini
Caffè storici di via Po
Il Caffè Florio, dove nacque il cono gelato da passeggio fu inaugurato nel 1780 e inizialmente frequentato da alti ufficiali e aristocratici, in contrapposizione al Calosso di Contrada Dora Grossa, oggi via Garibaldi, ritrovo di patrioti e rivoluzionari.
Nel tempo il Florio mutò clientela, in epoca risorgimentale (per un breve periodo) cambiò nome in Caffè della Confederazione Italiana, essendo ritrovo di politici e intellettuali come:
- il politico Massimo Taparelli d’Azeglio
- Camillo Benso, conte di Cavour
- Cesare Balbo, primo Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna
- l’eroe risorgimentale cuneese Santorre di Santa Rosa
- lo scrittore newyorkese Herman Melville
- il poeta cuneese Cesare Pavese
- il generale torinese Alfonso Ferrero della Marmora
Infatti secondo le cronache dell’epoca, re Carlo Alberto prima di aprire le sue udienze, spesso mandava il suo aiutante a chiedere cosa si dicesse al Caffè Florio.

Il Caffè Nazionale, in epoca risorgimentale luogo di convegni fu anch’esso frequentato da diversi personaggi illustri, tra cui il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, che ne amò sia i gelati che gli spettacoli teatrali.
Fu al Caffè Nazionale che il pomeriggio dell’8 febbraio 1848, il futuro senatore del Regno Roberto Taparelli d’Azeglio, salì su una tavola in mezzo alla folla e lesse, prima dell’affissione, il proclama con cui Carlo Alberto prometteva lo Statuto Albertino.
A circa metà del primo isolato c’era il Caffè Alfieri, famoso sia per i gelati che i giornali esteri, quasi dirimpetto alla chiesa di San Francesco da Paola il Caffè ristorante Parigi, mentre all’angolo dell’attuale via Rossini c’era il Venezia.
All’angolo con via San Massimo il Caffè Livorno, mentre allo sbocco di via Po con piazza Vittorio il Caffè Gallino, frequentato sia dalle Guardie del Corpo della caserma vicina che dalle contadine, scese dalla collina con latte fresco, verdura e uova.